Dopo Cona

Contrari alle espulsioni di massa

La ragazza ivoriana di 25 anni Sandrine Bakayoko, morta nel centro immigrazione di Cona per assenza di soccorsi tempestivi, non era una potenziale terrorista. Sperava in una seconda occasione. Per chi la Costa d’Avorio non è un nome esotico su una cartina geografica, conosce quali sono stati i problemi della post colonizzazione fino al colpo di Stato che depose il presidente Gbabo nel 2010. Vi sono villaggi all’interno dove la gente per mangiare va a raccogliere le banane sugli alberi. E pure la Costa d’Avorio è un paese relativamente ricco, produce legname, cacao, ha partnership economiche con aziende israeliane e cinesi. Abidjan, la capitale amministrativa, di notte sembra New York, per i suoi grattacieli illuminati, di giorno mostra l’indigenza delle capanne sottostanti. E’ lecito che un ivoriano attraversata la guerra civile che ha scosso il paese per più di dieci anni, voglia scappare in Europa? E l’Italia, un paese di emigranti sparsi in tutto il mondo, ha diritto di dire di no?

Il nostro primo dovere democratico è di garantire l'accoglienza per chi la chiede e la merita ed il fatto che contemporaneamente dobbiamo prendere misure severe nei confronti di chi viola le nostre leggi e incita alla violenza, non giustifica casi come quello avvenuto il Cpa di Cona. Su 30 mila domande d'asilo, ne abbiamo esitate solo 5 mila. La percentuale dei migranti che si perdono ai controlli rimane incalcolabile, e si sovrappone a coloro che espulsi, si nascondono o scappano in altri paesi europei. Il nostro sistema non funziona e questa inefficienza alimenta tensioni e paure nei cittadini. Il terrorista che ha seminato morte a Berlino è stato lasciato libero di girare indisturbato una volta dimesso dal carcere, e la ragazza ivoriana che cercava una seconda opportunità è lasciata stata morire. Questa la gestione dei migranti. Non servono espulsioni di massa. Serve la capacità di saper distinguere.

Roma, 4 gennaio 2017